Comitato per la Lotta Contro la Fame nel Mondo di Forlì
Annalena - pag.5
In Kenya andai come insegnante perché era l'unico lavoro che, all'inizio di una esperienza così nuova e forte, potevo svolgere decentemente senza arrecare danni a nessuno. Furono tempi di intensa preparazione delle lezioni di quasi tutte le materie, per carenza di insegnanti, di studio della lingua locale, della cultura e delle tradizioni di coinvolgimento intenso nell'insegnamento nella profonda convinzione che la cultura è forza di liberazione e di crescita.
Gli studenti, molti della mia stessa età o appena poco più giovani di me, e che avevano affrontato il preside quando si era saputo che una donna insegnante sarebbe arrivata assicurandolo che mi avrebbero impedito accesso alla classe, furono profondamente coinvolti e motivati. I risultati furono ottimi tanto che vari studenti di allora oggi occupano splendide posizioni nei vari Ministeri, al Governo, nelle attività private del paese e spesso mi giunge eco che tutti gli studenti del Nord-Est di quei tempi narrano di essere stati miei studenti ed io la loro insegnante ... cosa naturalmente non vera.
Ricordo che quasi subito dopo il mio arrivo mi innamorai di un bimbo ammalato di sickle cell e di fame ... erano i tempi di una terribile carestia vidi tanta gente morire di fame. Nel corso della mia esistenza, sono stata testimone di un'altra carestia, dieci mesi di fame, a Merca, nel sud della Somalia, e posso dire che si tratta di esperienze così traumatizzanti da mettere in pericolo la fede. Avevo preso, a vivere con me, quattordici bambini con le malattie della fame.
Donai subito il sangue a quel bimbo e supplicai i miei studenti di fare altrettanto ... uno di loro donò e dopo di lui tanti altri, vincendo così la resistenza dei pregiudizi e delle chiusure di un mondo che, ai miei occhi di allora, sembrava ignorare qualsiasi forma di solidarietà e di pietà. E fu forse la mia prima esperienza in cui, anche in un contesto islamico, l'amore generò amore.
Ma il mio primo amore furono i tubercolosi, la gente più abbandonata, più respinta, più rifiutata in quel mondo.La tubercolosi imperversa da secoli in mezzo ai Somali. Si pensa che praticamente tutta la popolazione sia infettata. Provvidenzialmente solo una percentuale delle persone infettate sviluppa la malattia nel corso della sua esistenza.
Ero a Wajir, un villaggio desolato nel cuore del deserto del Nord-Est del Kenya, quando conobbi i primi tubercolosi e mi innamorai di loro e fu amore per la vita. I malati di tubercolosi erano in un reparto da disperati. Quello che più spaccava il cuore era il loro abbandono, la loro sofferenza senza nessun tipo di conforto.
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