Comitato per la Lotta Contro la Fame nel Mondo di Forlì

Annalena - pag.6


Non sapevo nulla di medicina. Cominciai a portare loro l'acqua piovana che raccoglievo dai tetti della bella casa che il governo mi aveva dato come insegnante alla scuola secondaria. Andavo con le taniche piene, svuotavo i loro recipienti con l'acqua salatissima dei pozzi di Wajir, e li riempivo di quell'acqua dolce. Loro mi facevano cenni di comando apparentemente disturbati dalla goffaggine di quella giovane donna bianca della cui presenza sembravano volersi liberare in fretta.
Tutto mi era contro allora. Ero giovane e dunque non degna né di ascolto né di rispetto. Ero bianca e dunque disprezzata da quella razza che si considera superiore a tutti: bianchi, neri. gialli appartenenti a qualsiasi nazionalità che non sia la loro. Ero cristiana e dunque disprezzata, rifiutata, temuta. Tutti allora erano convinti che io fossi andata a Wajir per fare proseliti. E poi non ero sposata, un assurdo in quel mondo in cui il celibato non esiste e non è un valore per nessuno, anzi è un non valore.
Trent'anni dopo, per il fatto che non sono sposata, sono ancora guardata con compassione e con disprezzo in tutto il mondo somalo che non mi conosce bene. Solo chi mi conosce bene dice e ripete senza stancarsi che io sono somala come loro e sono madre autentica di tutti quelli che ho salvato, guarito, aiutato, facendo passare così sotto silenzio la realtà che io madre naturale non sono e non sarò mai.
Subito cominciai a studiare, ad osservare, ero ogni giorno con loro, li servivo sulle ginocchia, stavo accanto a loro quando si aggravavano e non avevano nessuno che si occupasse di loro, che li guardasse negli occhi, che infondesse loro forza. Dopo qualche anno, nella T.B. Manyatta (villaggio) ogni malato consapevole di essere alla fine, voleva solo me accanto per morire sentendosi amato.
Cominciai a supervedere i loro trattamenti una volta che erano dimessi dall'ospedale. La cosa fu risaputa. Non si conoscevano trattamenti portati a termine nel deserto. Erano tutti defaulters: al 100%.
Nel 1976 mi fu chiesto di diventare responsabile di un progetto dell'OMS per la cura della tubercolosi in mezzo ai nomadi, un progetto pilota in tutta l'Africa. Mi fu chiesto di inventare un sistema per garantire che i malati avrebbero preso le terapie antitubercolari ogni giorno per un periodo di sei mesi. Infatti per la prima volta in Africa, furono applicati i trattamenti a breve termine per un numero aperto di ammalati, trattamenti che consentono la guarigione in un tempo di sei mesi mentre fino ad allora per guarire erano necessari diciotto mesi di farmaci presi ogni giorno.

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